michele maioli
Michele Maioli


RACCONTI




Asgardsreien


Peter Nicolai Arbo - Asgardsreien - 1872

Premessa

Tutto comincio' da quel quadro di Peter Nicolai Arbo, "Asgardsreien" dipinto nel 1872 situato nel Museum Of Fine Art di Oslo, dal suo osservarlo, dalla conoscenza del mito che il suo autore aveva voluto rappresentare, dal cercare di capire cosa era in realta' Asgardsreien, il raduno per cui addirittura tutti gli dei e anche tutti i demoni si erano scomodati. Cosa aveva potuto mai scatenare una cosi' spaventosa orda distruttrice, tale da farla ricordare nella mitologia scandinava come il piu' atroce e terribile di tutti i destini?

Peter Nicolai Arbo "Asgardsreien"

Pittore Norvegese conosciuto per le sue scene tratte dalla mitologia norrea, Peter Nicolai Arbo nacque a Gulskogen, nel 1851, fu allievo della Scuola d'Arte gestita da Frederik Ferdinand Helsted a Copenhagen 1851-1852. Si perfeziono' alla scuola d'Arte di Dusseldorf e dopo presso il pittore C. Mengelberg.

Torno' in Norvegia nel 1861 e inizio' a dipingere i suoi quadri piu' entusiasmanti dove ci parla di un tempo passato, di torme di guerrieri scandinavi che cavalcavano verso scontri spietati, spesso affiancati da valchirie, non di rado rappresentati come Dei piu' che come cavalieri, i cui destrieri solcavano non le praterie ma i cieli, tra nubi plumbee e squarci di luce infuocata.

"Asgardsreien" e' uno dei quadri in cui Arbo dipinge una mitica impresa dei guerrieri nordici, il soggetto e' ripreso come gli altri dalla mitologia mitteleuropea ed e' presente nella cultura di piu' popolazioni con personaggi e nomi diversi, diverse caratterizzazioni, scopi, tempi. Tutti questi miti pero' fanno capo ad uno solo, quello della "Caccia Selvaggia".

Presumibilmente reminiscenza mitizzata delle scorribande delle tribu' barbare vichinghe, la "Caccia Selvaggia" e' presente in un consistente numero di credenze popolari, germaniche, svizzere, scandinave, francesi, britanniche, inglesi ma principalmente e' associata, soprattutto nei popoli nordici a sventura, manifestazioni di fenomeni soprannaturali, sciagura, ove gli Dei radunati e guidati dal loro capo Odino, Wuodan o indicato con altri nomi a seconda dei popoli, si scatenano in una tremenda furia distruttrice che cala dal cielo e non lascia scampo. Ma varia e' questa interpretazione: In Francia e Bretannia il capo caccia e' Re Artu', in Galles e' Welsh il Dio degli Inferi, in Germania e' Wodan, in Catalogna e' il fantasma maledetto del conte Arnau. In Inghilterra ce ne sono poi svariate versioni: dal ribelle sassone, al re Artu', al nobile inseguito dai cani dell'inferno e altre ancora.

Il mito si articola poi a seconda delle culture e possiamo trovare storie dove il capo caccia e' accompagnato da una valchiria. Solitamente entrambi sono maledetti o non morti, portatori di cataclismi e tendono ad arricchire la loro schiera di cavalieri pseudo-fantasmi e Dei compromessi dall'ira, con le anime strappate a chi incontrano sul loro cammino.

Parte dei miti, col passare del tempo si sono poi evoluti dando origine a nuove versioni in cui appaiono perfide streghe, portatrici di sabbah infernali al posto delle valchirie.

Insomma il dipinto di Peter Nicolai Arbo "Asgardsreien" e' un'opera che riassume queste leggendarie credenze pagane, ancora non ben definite perche' veramente multiformi. Certo e' che la "Caccia Selvaggia", proiezione di una storica caratteristica predatoria dei popoli nordici, e' poi divenuta la rappresentazione inconscia dell'arrivo di una sciagura di portata immane e di origine non umana, ultraterrena, divina, vista appunto quale possibile castigo degli Dei.

Peter Nicolai Arbo ne dipinge tutta la drammaticita' e la potenza, immergendo in un manto oscuro la schiera di personaggi, cosi' numerosi da oscurare il cielo burrascoso da cui trae origine, a sottolineare la loro provenienza divina e non infernale per cui, possiamo sostenere che Arbo testimonia la tesi che il castigo se cosi' lo possiamo classificare, viene dagli Dei.

La terra sottostante e' brulla, oscura e spoglia, priva di qualsiasi forme di vita come se gia' solo il passaggio nel cielo della nutrita coltre di cavalieri spettrali bastasse a cancellare l'operato dell'uomo e la sua esistenza. Non c'e' in realta' un nemico verso cui rivolgersi, o forse non c'e' ancora, le lame sono infatti indirizzate almeno per il momento, all'aere e le frecce, scagliate verso il nulla. Come turisti di una tetra comitiva in viaggio verso zone di guerra, le valchirie e i guerrieri osservano il suolo brullo, con odio ma anche con disperazione, come se quelle rovine gli devastassero e infiammassero ancora di piu' i petti perche' di loro fanno parte, quasi a farci capire che non loro sono l'origine di quella disfatta, ma il nemico verso cui cavalcano sui destrieri volanti.

E allora ecco che si percepisce l'interpretazione di Arbo e prende consistenza la tesi per cui la "Caccia Selvaggia" e' si', un raduno di anime dannate, spettri, non morti, spiriti senza pace, ma soprattutto una sciame di guerrieri radunato dagli Dei e spinto furibondo verso la vendetta.

La tecnica di Arbo e' notevole, si esalta nel forte contrasto tra luci ed ombre e riesce a rendere la drammatica consistenza del turbine di personaggi senza insistere nei dettagli, rendendoli visibili fino al lontano aprirsi dei cieli e mantenendo la tridimensionalita' anche nel riverbero luminoso incandescente.

Arbo insiste invece nella particolareggiata descrizione dei primi guerrieri con pennellate furenti e si sofferma sulle perfette visoni dei corpi in controluce. Chi siano le fanciulle nude che paiono essere strappate alla distruzione dell'ormai nuda terra, se vittime rapite o compagne salvate non si sa, e' certo che la loro condizione di nudita' e i capelli biondi le accomunano alle valchirie. E infatti eccole stremate, le vediamo aggrappate ai cavalieri oscuri, che non vanno verso un porto sicuro ma, come passeggeri salvati da un naufragio, seguono i salvatori nel loro viaggio, verso la piu' tragica delle guerre.



Peter Nicolai Arbo - Asgardsreien (particolare) - 1872

Racconto

Ci fu un tempo in cui popoli fratelli vivevano lontani ma in comune accordo di pace, stesse facce, stessi canti, stesse storie ma le terre che abitavano erano diverse e divenute ormai le loro terre. E c'era un patto, sopravvissuto nei secoli che si succedevano: chiunque dei due popoli fosse stato in pericolo sarebbe stato sempre soccorso dall'altro, un messo sarebbe bastato per far si che i migliori guerrieri facessero a gara nel precipitarsi al fianco dei fratelli in pericolo lontani, e cosi' fu molte e molte volte, sia un popolo che l'altro fino a che questo non fu piu'.

Venne un tempo in cui uno dei popoli prosperava ormai in pace da molti decenni mentre l'altro accerchiato dai nemici spesso mandava messi per chiedere rinforzi. Per riconsolidare l'antico patto, sempre i guerrieri migliori partivano in soccorso ma, sempre meno ne tornavano. Certo caduti eroicamente in battaglia, certo fedeli alla loro indole e tradizione. E ancora i messi furono inviati dallo stesso popolo in pericolo , e ancora i migliori guerrieri furono inviati, ma nessuno torno'. Ancora e ancora e ancora questo successe e i pianti e le urla dei bambini e delle donne non bastarono a trattenere i guerrieri dall'andare in soccorso del popolo fratello anche se questo ormai sembrava diventato presagio di morte certa, fino a quando il sospetto si insinuo' nelle loro teste. Allora insieme ai guerrieri votati alla morte furono inviate spie nascoste, ma nessuno, nemmeno loro fecero ritorno mai. Possibile che nessuno dei giovani e forti guerrieri e nemmeno le spie in incognito fossero mai piu' riuscite a tornare? Possibile che nessuno sia sopravvissuto mai alle guerre degli alleati? Questa domanda arroventava le menti , fino a quando ferito, febbricitante e solo, qualcuno torno'. Cosi' gli fu chiesto:

"Parlaci, dicci che succede veramente la' nelle terre dei nostri fratelli, dicci perche' mai piu' nessuno e' tornato e che razza di nemici hanno per fare dei nostri migliori guerrieri scempio".

E lui parlo' come nessuno avrebbe mai pensato che parlasse.

"Io ho visto, io so perche' nessuno torna, io ho capito e ve lo diro' affinche' questo scempio finisca per sempre. Non sono sopravvissuto ad una guerra, non sono scappato dai nemici ma da quelli che noi da sempre chiamiamo amici. I nostri giovani piu' forti, addestrati, nutriti, forgiati nel carattere per essere i migliori guerrieri e che noi mandiamo quando giunge un messo a chiederci aiuto fraterno, da decenni e forse piu' non vedono guerra, non li mandiamo a combattere ma a fare una morte indegna per mano di quelli che da sempre chiamiamo amici! Li ho visti io legati, penzolanti, imbavagliati, con le membra possenti tese nel perenne tentativo di liberarsi, purtroppo inutile, inutile il loro addestramento, inutile la loro perizia, inutile il loro intelletto, la loro istruzione, tutti gli anni impiegati per formarli, sprecati. Li ho visti io appesi al soffitto legati con funi per mesi, anni, nutriti quel tanto che basta per tenerli in vita, per fiaccarne piano piano i corpi e gli spiriti. Li ho visti io e mai vorrei avere visto."

E fece i nomi, fece i nomi di chi ancora aveva visto vivo, di chi era stato accanto a lui prima che fosse riuscito a liberarsi, fece i nomi di chi non pote' portare con lui nella fuga, fece i nomi di chi lo aiuto' ma che ormai sfinito dalle troppe ferite non riusci' a seguirlo e gli affido' solo messaggi da riportare ai propri familiari. Poi continuo':

"Quel paese da sempre nostro alleato di cui ancora cantiamo di miti comuni non esiste piu', non e' piu' come ce lo immaginiamo noi, e' diventato un paese di mostri. Da molto tempo non c'e' nessuna guerra, solo qualche scaramuccia di confine, non c'e' nessun pericolo, i loro allarmi ci vengono dati solo affinche' noi mandiamo i nostri uomini migliori, dopo di che con l'inganno li prendono, li imprigionano, fino alla morte. Li ho visti io appesi come vitelli, grondanti sangue dalle mille ferite inflitte da quelli che noi chiamiamo amici, donne, vecchie, bambini, tutti partecipano a questo che per loro e' come un gioco. Strappano brandelli di pelle umana, tagliano e lasciano sgorgare il sangue che poi bevono. Poi li nutrono affinche' non muoiano troppo presto e ricominciano, fino a quando tagliano interi pezzi di carne, arti e li mangiano, mangiano e bevono il sangue dei nostri guerrieri perche' pensano che questo li renda forti e invincibili. Popolo di streghe, esseri maledetti dal piu' piccolo al piu' vecchio, nessuno si sottrae a questi riti malefici".

Fece una pausa, dopo aver pronunciato parole che mai avrebbe voluto e pensato di pronunciare, con quella fievole energia che ancora gli restava e vincendo con uno sforzo l'amarezza che gli tratteneva il respiro e la voce infine disse:

"Ammaziamoli tutti! Che non ne resti ne' un uomo ne' una donna, ne' un vecchio ne' un bambino. Ammaziamoli tutti!".

Poi si accascio' al suolo sfinito.

Ogni presente rimase in silenzio, incredulo, perche' nessuno voleva credere, ma la voce che aveva parlato era troppo autorevole anche se l'anima di chi aveva parlato veniva da sotto vestiti laceri, lo sporco, le ferite, la pelle avvizzita e rinsecchita dalla malnutrizione, e ogni parola si stampo' nelle loro menti indelebile per sempre, cancellando qualsiasi altro pensiero che potesse contrastarne la veridicita'.

Poi il capo con calma si alzo' e dopo un silenzio che sembro' eterno, disse questa unica parola:

"Asgardsreien!".



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Questo racconto e' stato liberamente ispirato dal quadro "Asgardsreien" di Peter Nicolai Arbo ed e' frutto di fantasia.





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